di tutt'altro e schiva, odil tu, verde riva, e presta a' miei sospir' si largo volo, che sempre si ridica come tu m'eri amica. Ben sai che si bel piede non toccho terra unquancho come quel di che gia segnata fosti; onde 'l cor lasso riede col tormentoso fiancho a partir teco i lor pensier' nascosti. Cosi avestu riposti de' be' vestigi sparsi anchor tra' fiori et l'erba, che la mia vita acerba, lagrimando, trovasse ove acquetarsi! Ma come po s'appaga l'alma dubbiosa et vaga. Ovunque gli occhi volgo trovo un dolce sereno pensando: Qui percosse il vago lume. Qualunque herba o fior colgo credo che nel terreno aggia radice, ov'ella ebbe in costume gir fra le piagge e 'l fiume, et talor farsi un seggio fresco, fiorito et verde. Cosi nulla se 'n perde, et piu certezza averne fora il peggio. Spirto beato, quale se', quando altrui fai tale? O poverella mia, come se' rozza! Credo che tel conoschi: rimanti in questi boschi. 126 Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir' mi rimembra) a lei di fare al bel fiancho colonna; herba et fior' che la gonna leggiadra ricoverse co l'angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: date udienza insieme a le dolenti mie parole extreme. S'egli e pur mio destino e 'l cielo in cio s'adopra, ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda, qualche gratia il meschino corpo fra voi ricopra, et torni l'alma al proprio albergo ignuda. La morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo: che lo spirito lasso non poria mai in piu riposato porto ne in piu tranquilla fossa fuggir la carne travagliata et l'ossa. Tempo verra anchor forse ch'a l'usato soggiorno torni la fera bella et mansueta, et la 'v'ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disiosa et lieta, cercandomi; et, o pieta!, gia terra in fra le pietre vedendo, Amor l'inspiri in guisa che sospiri si dolcemente che merce m'impetre, et faccia forza al cielo, asciugandosi gli occhi col bel velo. Da' be' rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo; et ella si sedea humile in tanta gloria, coverta gia de l'amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch'oro forbito et perle eran quel di a vederle; qual si posava in terra, et qual su l'onde; qual con un vago errore girando parea dir: " Qui regna Amore. " Quante volte diss'io allor pien di spavento: Costei per fermo nacque in paradiso. Cosi carco d'oblio il divin portamento e 'l volto e le parole e 'l dolce riso m'aveano, et si diviso da l'imagine vera, ch'i' dicea sospirando: Qui come venn'io, o quando?; credendo d'esser in ciel, non la dov'era. Da indi in qua mi piace questa herba si, ch'altrove non o pace. Se tu avessi ornamenti quant'ai voglia, poresti arditamente uscir del boscho, et gir in fra la gente. 127 In quella parte dove Amor mi sprona conven ch'io volga le dogliose rime, che son seguaci de la mente afflicta. Quai fien ultime, lasso, et qua' fien prime? Collui che del mio mal meco ragiona mi lascia in dubbio, si confuso ditta. Ma pur quanto l'istoria trovo scripta in mezzo 'l cor (che si spesso rincorro) co la sua propria man de' miei martiri, diro, perche i sospiri parlando an triegua, et al dolor soccorro. Dico che, perch'io miri mille cose diverse attento et fiso, sol una donna veggio, e 'l suo bel viso. Poi che la dispietata mia ventura m'a dilungato dal maggior mio bene, noiosa, inexorabile et superba, Amor col rimembrar sol mi mantene: onde s'io veggio in giovenil figura incominciarsi il mondo a vestir d'erba, parmi vedere in quella etate acerba la bella giovenetta, ch'ora e donna; poi che sormonta riscaldando il sole, parmi qual esser sole, fiamma d'amor che 'n cor alto s'endonna; ma quando il di si dole di lui che passo passo a dietro torni, veggio lei giunta a' suoi perfecti giorni. In ramo fronde, over viole in terra, mirando a la stagion che 'l freddo perde, et le stelle miglior' acquistan forza, ne gli occhi o pur le violette e 'l verde di ch'era nel principio de mia guerra Amor armato, si ch'anchor mi sforza, et quella dolce leggiadretta scorza che ricopria le pargolette membra dove oggi alberga l'anima gentile ch'ogni altro piacer vile sembiar mi fa: si forte mi rimembra del portamento humile ch'allor fioriva, et poi crebbe anzi agli anni, cagion sola et riposo de' miei affanni. Qualor tenera neve per li colli dal sol percossa veggio di lontano, come 'l sol neve, mi governa Amore, pensando nel bel viso piu che humano che po da lunge gli occhi miei far molli, ma da presso gli abbaglia, et vince il core: ove fra 'l biancho et l'aureo colore, sempre si mostra quel che mai non vide occhio mortal, ch'io creda, altro che 'l mio; et del caldo desio, che, quando sospirando ella sorride, m'infiamma si che oblio niente aprezza, ma diventa eterno, ne state il cangia, ne lo spegne il verno. Non vidi mai dopo nocturna pioggia gir per l'aere sereno stelle erranti, et fiammeggiar fra la rugiada e 'l gielo, ch'i' non avesse i begli occhi davanti ove la stancha mia vita s'appoggia, quali io gli vidi a l'ombra di un bel velo; et si come di lor bellezze il cielo splendea quel di, cosi bagnati anchora li veggio sfavillare, ond'io sempre ardo. Se 'l sol levarsi sguardo, sento il lume apparir che m'innamora; se tramontarsi al tardo, parmel veder quando si volge altrove lassando tenebroso onde si move. Se mai candide rose con vermiglie in vasel d'oro vider gli occhi miei allor allor da vergine man colte, veder pensaro il viso di colei ch'avanza tutte l'altre meraviglie con tre belle excellentie in lui raccolte: le bionde treccie sopra 'l collo sciolte, ov'ogni lacte perderia sua prova, e le guancie ch'adorna un dolce foco. Ma pur che l'ora un poco fior' bianchi et gialli per le piaggie mova, torna a la mente il loco e 'l primo di ch'i' vidi a l'aura sparsi i capei d'oro, ond'io si subito arsi, Ad una ad una annoverar le stelle, e 'n picciol vetro chiuder tutte l'acque, forse credea, quando in si poca carta novo penser di ricontar mi nacque in quante parti il fior de l'altre belle, stando in se stessa, a la sua luce sparta a cio che mai da lei non mi diparta: ne faro io; et se pur talor fuggo, in cielo e'n terra m'ha rachiuso i passi, perch'agli occhi miei lassi sempre e presente, ond'io tutto mi struggo. Et cosi meco stassi, ch'altra non veggio mai, ne veder bramo, ne 'l nome d'altra ne sospir' miei chiamo. Ben sai, canzon, che quant'io parlo e nulla al celato amoroso mio pensero, che di et nocte ne la mente porto, solo per cui conforto in cosi lunga guerra ancho non pero: che ben m'avria gia morto la lontananza del mio cor piangendo, ma quinci da la morte indugio prendo. 128 Italia mia, benche 'l parlar sia indarno a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo si spesse veggio, piacemi almen che ' miei sospir' sian quali spera 'l Tevero et l'Arno, e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio. Rettor del cielo, io cheggio che la pieta che Ti condusse in terra Ti volga al Tuo dilecto almo paese. Vedi, Segnor cortese, di che lievi cagion' che crudel guerra; e i cor', che 'ndura et serra Marte superbo et fero, apri Tu, Padre, e 'ntenerisci et snoda; ivi fa che 'l Tuo vero, qual io mi sia, per la mia lingua s'oda. Voi cui Fortuna a posto in mano il freno de le belle contrade, di che nulla pieta par che vi stringa, che fan qui tante pellegrine spade? perche 'l verde terreno del barbarico sangue si depinga? Vano error vi lusinga: poco vedete, et parvi veder molto, che 'n cor venale amor cercate o fede. Qual piu gente possede, colui e piu da' suoi nemici avolto. O diluvio raccolto di che deserti strani per inondar i nostri dolci campi! Se da le proprie mani questo n'avene, or chi fia che ne scampi? Ben provide Natura al nostro stato, quando de l'Alpi schermo pose fra noi et la tedesca rabbia; ma 'l desir cieco, e 'ncontr'al suo ben fermo, s'e poi tanto ingegnato, ch'al corpo sano a procurato scabbia. Or dentro ad una gabbia fiere selvagge et mansuete gregge s'annidan si che sempre il miglior geme: et e questo del seme, per piu dolor, del popol senza legge, al qual, come si legge, Mario aperse si 'l fianco, che memoria de l'opra ancho non langue, quando assetato et stanco non piu bevve del fiume acqua che sangue. Cesare taccio che per ogni piaggia fece l'erbe sanguigne di lor vene, ove 'l nostro ferro mise. Or par, non so per che stelle maligne, che 'l cielo in odio n'aggia: vostra merce, cui tanto si commise. Vostre voglie divise guastan del mondo la piu bella parte. Qual colpa, qual giudicio o qual destino fastidire il vicino povero, et le fortune afflicte et sparte perseguire, e 'n disparte cercar gente et gradire, che sparga 'l sangue et venda l'alma a prezzo? Io parlo per ver dire, non per odio d'altrui, ne per disprezzo. Ne v'accorgete anchor per tante prove del bavarico inganno ch'alzando il dito colla morte scherza? Peggio e lo strazio, al mio parer, che 'l danno; ma 'l vostro sangue piove piu largamente, ch'altr'ira vi sferza. Da la matina a terza di voi pensate, et vederete come tien caro altrui che tien se cosi vile. Latin sangue gentile, sgombra da te queste dannose some; non far idolo un nome vano senza soggetto: che 'l furor de lassu, gente ritrosa, vincerne d'intellecto, peccato e nostro, et non natural cosa. Non e questo 'l terren ch'i' toccai pria? Non e questo il mio nido ove nudrito fui si dolcemente? Non e questa la patria in ch'io mi fido, madre benigna et pia, che copre l'un et l'altro mio parente? Perdio, questo la mente talor vi mova, et con pieta guardate le lagrime del popol doloroso, che sol da voi riposo dopo Dio spera; et pur che voi mostriate segno alcun di pietate, vertu contra furore prendera l'arme, et fia 'l combatter corto: che l'antiquo valore ne gli italici cor' non e anchor morto. Signor', mirate come 'l tempo vola, et si come la vita fugge, et la morte n'e sovra le spalle. Voi siete or qui; pensate a la partita: che l'alma ignuda et sola conven ch'arrive a quel dubbioso calle. Al passar questa valle piacciavi porre giu l'odio et lo sdegno, venti contrari a la vita serena; et quel che 'n altrui pena tempo si spende, in qualche acto piu degno o di mano o d'ingegno, in qualche bella lode, in qualche honesto studio si converta: cosi qua giu si gode, et la strada del ciel si trova aperta. Canzone, io t'ammonisco che tua ragion cortesemente dica, perche fra gente altera ir ti convene, et le voglie son piene gia de l'usanza pessima et antica, del ver sempre nemica. Proverai tua ventura fra' magnanimi pochi a chi 'l ben piace. Di' lor: " Chi m'assicura? I' vo gridando: Pace, pace, pace. " 129 Di pensier in pensier, di monte in monte mi guida Amor, ch'ogni segnato calle provo contrario a la tranquilla vita. Se 'n solitaria piaggia, o rivo, o fonte, se 'nfra duo poggi siede ombrosa valle, ivi s'acqueta l'alma sbigottita; et come Amor l'envita, or ride, or piange, or teme, or s'assecura; e 'l volto che lei segue ov'ella il mena si turba et rasserena, et in un esser picciol tempo dura; onde a la vista huom di tal vita experto diria: Questo arde, et di suo stato e incerto. Per alti monti et per selve aspre trovo qualche riposo: ogni habitato loco e nemico mortal degli occhi miei. A ciascun passo nasce un penser novo de la mia donna, che sovente in gioco gira 'l tormento ch'i' porto per lei; et a pena vorrei cangiar questo mio viver dolce amaro, ch'i' dico: Forse anchor ti serva Amore ad un tempo migliore; forse, a te stesso vile, altrui se' caro. Et in questa trapasso sospirando: Or porrebbe esser vero? or come? or quando? Ove porge ombra un pino alto od un colle talor m'arresto, et pur nel primo sasso disegno co la mente il suo bel viso. Poi ch'a me torno, trovo il petto molle de la pietate; et alor dico: Ahi, lasso, dove se' giunto! et onde se' diviso! Ma mentre tener fiso posso al primo pensier la mente vaga, et mirar lei, et obliar me stesso, sento Amor si da presso, che del suo proprio error l'alma s'appaga: in tante parti et si bella la veggio, che se l'error durasse, altro non cheggio. I' l'o piu volte (or chi fia che mi 'l creda?) ne l'acqua chiara et sopra l'erba verde veduto viva, et nel tronchon d'un faggio e 'n bianca nube, si fatta che Leda avria ben detto che sua figlia perde, come stella che 'l sol copre col raggio; et quanto in piu selvaggio loco mi trovo e 'n piu deserto lido, tanto piu bella il mio pensier l'adombra. Poi quando il vero sgombra quel dolce error, pur li medesmo assido me freddo, pietra morta in pietra viva, in guisa d'uom che pensi et pianga et scriva. Ove d'altra montagna ombra non tocchi, verso 'l maggiore e 'l piu expedito giogo tirar mi suol un desiderio intenso; indi i miei danni a misurar con gli occhi comincio, e 'ntanto lagrimando sfogo di dolorosa nebbia il cor condenso, alor ch'i' miro et penso, quanta aria dal bel viso mi diparte che sempre m'e si presso et si lontano. Poscia fra me pian piano: Che sai tu, lasso! forse in quella parte or di tua lontananza si sospira. Et in questo penser l'alma respira. Canzone, oltra quell'alpe la dove il ciel e piu sereno et lieto mi rivedrai sovr'un ruscel corrente, ove l'aura si sente d'un fresco et odorifero laureto. Ivi e 'l mio cor, et quella che 'l m'invola; qui veder poi l'imagine mia sola. 130 Poi che 'l camin m'e chiuso di Mercede, per desperata via son dilungato da gli occhi ov'era, i' non so per qual fato, riposto il guidardon d'ogni mia fede. Pasco 'l cor di sospir', ch'altro non chiede, e di lagrime vivo a pianger nato: ne di cio duolmi, perche in tale stato e dolce il pianto piu ch'altri non crede. Et sol ad una imagine m'attegno, che fe' non Zeusi, o Prasitele, o Fidia, ma miglior mastro, et di piu alto ingegno. Qual Scithia m'assicura, o qual Numidia, s'anchor non satia del mio exsilio indegno, cosi nascosto mi ritrova Invidia? 131 Io canterei d'amor si novamente ch'al duro fiancho il di mille sospiri trarrei per forza, et mille alti desiri raccenderei ne la gelata mente; e 'l bel viso vedrei cangiar sovente, et bagnar gli occhi, et piu pietosi giri far, come suol chi de gli altrui martiri et del suo error quando non val si pente; et le rose vermiglie in fra le neve mover da l'ora, et discovrir l'avorio che fa di marmo chi da presso 'l guarda; e tutto quel per che nel viver breve non rincresco a me stesso, anzi mi glorio d'esser servato a la stagion piu tarda. 132 S'amor non e, che dunque e quel ch'io sento? Ma s'egli e amor, perdio, che cosa et quale? Se bona, onde l'effecto aspro mortale? Se ria, onde si dolce ogni tormento? S'a mia voglia ardo, onde 'l pianto e lamento? S'a mal mio grado, il lamentar che vale? O viva morte, o dilectoso male, come puoi tanto in me, s'io no 'l consento? Et s'io 'l consento, a gran torto mi doglio. Fra si contrari venti in frale barca mi trovo in alto mar senza governo, si lieve di saver, d'error si carca ch'i' medesmo non so quel ch'io mi voglio, et tremo a mezza state, ardendo il verno. 133 Amor m'a posto come segno a strale, come al sol neve, come cera al foco, et come nebbia al vento; et son gia roco, donna, merce chiamando, et voi non cale. Da gli occhi vostri uscio 'l colpo mortale, contra cui non mi val tempo ne loco; da voi sola procede, et parvi un gioco, il sole e 'l foco e 'l vento ond'io son tale. I pensier' son saette, e 'l viso un sole, e 'l desir foco; e 'nseme con quest'arme mi punge Amor, m'abbaglia et mi distrugge; et l'angelico canto et le parole, col dolce spirto ond'io non posso aitarme, son l'aura inanzi a cui mia vita fugge. 134 Pace non trovo, et non o da far guerra; e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra; et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio. Tal m'a in pregion, che non m'apre ne serra, ne per suo mi riten ne scioglie il laccio; et non m'ancide Amore, et non mi sferra, ne mi vuol vivo, ne mi trae d'impaccio. Veggio senza occhi, et non o lingua et grido; et bramo di perir, et cheggio aita; et o in odio me stesso, et amo altrui. Pascomi di dolor, piangendo rido; egualmente mi spiace morte et vita: in questo stato son, donna, per voi. 135 Qual piu diversa et nova cosa fu mai in qual che stranio clima, quella, se ben s'estima, piu mi rasembra: a tal son giunto, Amore. La onde il di ven fore, vola un augel che sol senza consorte di volontaria morte rinasce, et tutto a viver si rinova. Cosi sol si ritrova lo mio voler, et cosi in su la cima de' suoi alti pensieri al sol si volve, et cosi si risolve, et cosi torna al suo stato di prima: arde, et more, et riprende i nervi suoi, et vive poi con la fenice a prova. Una petra e si ardita la per l'indico mar, che da natura tragge a se il ferro e 'l fura dal legno, in guisa che ' navigi affonde. Questo prov'io fra l'onde d'amaro pianto, che quel bello scoglio a col suo duro argoglio condutta ove affondar conven mia vita: cosi l'alm'a sfornita (furando 'l cor che fu gia cosa dura, et me tenne un, ch'or son diviso et sparso) un sasso a trar piu scarso carne che ferro. O cruda mia ventura, che 'n carne essendo, veggio trarmi a riva ad una viva dolce calamita! Ne l'extremo occidente una fera e soave et queta tanto che nulla piu, ma pianto et doglia et morte dentro agli occhi porta: molto convene accorta esser qual vista mai ver' lei si giri; pur che gli occhi non miri, l'altro puossi veder securamente. Ma io incauto, dolente, corro sempre al mio male, et so ben quanto n'o sofferto, et n'aspetto; ma l'engordo voler ch'e cieco et sordo si mi trasporta, che 'l bel viso santo et gli occhi vaghi fien cagion ch'io pera, di questa fera angelica innocente. Surge nel mezzo giorno una fontana, e tien nome dal sole, che per natura sole bollir le notti, e 'n sul giorno esser fredda; e tanto si raffredda quanto 'l sol monta, et quanto e piu da presso. Cosi aven a me stesso, che son fonte di lagrime et soggiorno: quando 'l bel lume adorno ch'e 'l mio sol s'allontana, et triste et sole son le mie luci, et notte oscura e loro, ardo allor; ma se l'oro e i rai veggio apparir del vivo sole, tutto dentro et di for sento cangiarme, et ghiaccio farme, cosi freddo torno. Un'altra fonte a Epiro, di cui si scrive ch'essendo fredda ella, ogni spenta facella accende, et spegne qual trovasse accesa. L'anima mia, ch'offesa anchor non era d'amoroso foco, appressandosi un poco a quella fredda, ch'io sempre sospiro, arse tutta: et martiro simil gia mai ne sol vide, ne stella, ch'un cor di marmo a pieta mosso avrebbe; poi che 'nfiammata l'ebbe, rispensela vertu gelata et bella. Cosi piu volte a 'l cor racceso et spento: i' 'l so che 'l sento, et spesso me 'nadiro. Fuor tutti nostri lidi, ne l'isole famose di Fortuna, due fonti a: chi de l'una bee, mor ridendo; et chi de l'altra, scampa. Simil fortuna stampa mia vita, che morir poria ridendo, del gran piacer ch'io prendo, se nol temprassen dolorosi stridi. Amor, ch'anchor mi guidi pur a l'ombra di fama occulta et bruna, tacerem questa fonte, ch'ognor piena, ma con piu larga vena veggiam, quando col Tauro il sol s'aduna: cosi gli occhi miei piangon d'ogni tempo, ma piu nel tempo che madonna vidi. Chi spiasse, canzone quel ch'i' fo, tu poi dir: Sotto un gran sasso in una chiusa valle, ond'esce Sorga, si sta; ne chi lo scorga v'e, se no Amor, che mai nol lascia un passo, et l'immagine d'una che lo strugge, che per se fugge tutt'altre persone. 136 Fiamma dal ciel su le tue treccie piova, malvagia, che dal fiume et da le ghiande per l'altrui impoverir se' ricca et grande, poi che di mal oprar tanto ti giova; nido di tradimenti, in cui si cova quanto mal per lo mondo oggi si spande, de vin serva, di lecti et di vivande, in cui Luxuria fa l'ultima prova. Per le camere tue fanciulle et vecchi vanno trescando, et Belzebub in mezzo co' mantici et col foco et co li specchi. Gia non fustu nudrita in piume al rezzo, ma nuda al vento, et scalza fra gli stecchi: or vivi si ch'a Dio ne venga il lezzo. 137 L'avara Babilonia a colmo il sacco d'ira di Dio, e di vitii empii et rei, tanto che scoppia, ed a fatti suoi dei non Giove et Palla, ma Venere et Bacco. Aspectando ragion mi struggo et fiacco; ma pur novo soldan veggio per lei, lo qual fara, non gia quand'io vorrei, sol una sede, et quella fia in Baldacco. Gl'idoli suoi sarranno in terra sparsi, et le torre superbe, al ciel nemiche, e i suoi torrer' di for come dentro arsi. Anime belle et di virtute amiche terranno il mondo; et poi vedrem lui farsi aureo tutto, et pien de l'opre antiche. 138 Fontana di dolore, albergo d'ira, scola d'errori, et templo d'eresia, gia Roma, or Babilonia falsa et ria, per cui tanto si piange et si sospira; o fucina d'inganni, o pregion dira, ove 'l ben more, e 'l mal si nutre et cria, di vivi inferno, un gran miracol fia se Cristo teco alfine non s'adira. Fondata in casta et humil povertate, contra' tuoi fondatori alzi le corna, putta sfacciata: et dove ai posto spene? Ne gli adulteri tuoi? ne le mal nate richezze tante? Or Constantin non torna; ma tolga il mondo tristo che 'l sostene. 139 Quanto piu disiose l'ali spando verso di voi, o dolce schiera amica, tanto Fortuna con piu visco intrica il mio volare, et gir mi face errando. Il cor che mal suo grado a torno mando, e con voi sempre in quella valle aprica, ove 'l mar nostro piu la terra implica; l'altrier da lui partimmi lagrimando. I' da man manca, e' tenne il camin dritto; i' tratto a forza, et e' d'Amore scorto; egli in Ierusalem, et io in Egipto. Ma sofferenza e nel dolor conforto; che per lungo uso, gia fra noi prescripto, il nostro esser insieme e raro et corto. 140 Amor, che nel penser mio vive et regna e 'l suo seggio maggior nel mio cor tene, talor armato ne la fronte vene, ivi si loca, et ivi pon sua insegna. Quella ch'amare et sofferir ne 'nsegna e vol che 'l gran desio, l'accesa spene, ragion, vergogna et reverenza affrene, di nostro ardir fra se stessa si sdegna. Onde Amor paventoso fugge al core, lasciando ogni sua impresa, et piange, et trema; ivi s'asconde, et non appar piu fore. Che poss'io far, temendo il mio signore, se non star seco infin a l'ora extrema? Che bel fin fa chi ben amando more. 141 Come talora al caldo tempo sole semplicetta farfalla al lume avezza volar negli occhi altrui per sua vaghezza, onde aven ch'ella more, altri si dole: cosi sempre io corro al fatal mio sole degli occhi onde mi ven tanta dolcezza che 'l fren de la ragion Amor non prezza, e chi discerne e vinto da chi vole. E veggio ben quant'elli a schivo m'anno, e so ch'i' ne morro veracemente, che mia vertu non po contra l'affanno; ma si m'abbaglia Amor soavemente, ch'i' piango l'altrui noia, et no 'l mio danno; et cieca al suo morir l'alma consente. 142 A la dolce ombra de le belle frondi corsi fuggendo un dispietato lume che'nfin qua giu m'ardea dal terzo cielo; et disgombrava gia di neve i poggi l'aura amorosa che rinova il tempo, et fiorian per le piagge l'erbe e i rami. Non vide il mondo si leggiadri rami, ne mosse il vento mai si verdi frondia me si mostrar quel primo tempo: tal che, temendo de l'ardente lume, non volsi al mio refugio ombra di poggi, ma de la pianta piu gradita in cielo. Un lauro mi difese allor dal cielo, onde piu volte vago de' bei rami da po' son gito per selve et per poggi; ne gia mai ritrovai tronco ne frondi tanto honorate dal supremo lume che non mutasser qualitate a tempo. Pero piu fermo ognor di tempo in tempo, seguendo ove chiamar m'udia dal cielo e scorto d'un soave et chiaro lume, tornai sempre devoto ai primi rami et quando a terra son sparte le frondi et quando il sol fa verdeggiar i poggi. Selve, sassi, campagne, fiumi et poggi, quanto e creato, vince et cangia il tempo: ond'io cheggio perdono a queste frondi, se rivolgendo poi molt'anni il cielo fuggir disposi gl' invescati rami tosto ch'incominciai di veder lume. Tanto mi piacque prima il dolce lume ch'i' passai con diletto assai gran poggi per poter appressar gli amati rami: ora la vita breve e 'l loco e 'l tempo mostranmi altro sentier di gire al cielo et di far frutto, non pur fior' et frondi. Altr'amor, altre frondi et altro lume, altro salir al ciel per altri poggi cerco, che n'e ben tempo, et altri rami. 143 Quand'io v'odo parlar si dolcemente com'Amor proprio a' suoi seguaci instilla, l'acceso mio desir tutto sfavilla, tal che 'nfiammar devria l'anime spente. Trovo la bella donna allor presente, ovunque mi fu mai dolce o tranquilla ne l'habito ch'al suon non d'altra squilla ma di sospir' mi fa destar sovente. Le chiome a l'aura sparse, et lei conversa indietro veggio; et cosi bella riede nel cor, come colei che tien la chiave. Ma 'l soverchio piacer, che s'atraversa a la mia lingua, qual dentro ella siede di mostrarla in palese ardir non ave. 144 Ne cosi bello il sol gia mai levarsi quando 'l ciel fosse piu de nebbia scarco, ne dopo pioggia vidi 'l celeste arco per l'aere in color' tanti variarsi, in quanti fiammeggiando trasformarsi, nel di ch'io presi l'amoroso incarco, quel viso al quale, et son nel mio dir parco, nulla cosa mortal pote aguagliarsi. I' vidi Amor che ' begli occhi volgea soave si, ch'ogni altra vista oscura da indi in qua m'incomincio apparere. Segnuccio, i' 'l vidi, et l'arco che tendea, tal che mia vita poi non fu secura, et e si vaga ancor del rivedere. 145 Pommi ove 'l sole occide i fiori et l'erba, o dove vince lui il ghiaccio et la neve; ponmi ov'e 'l carro suo temprato et leve, et ov'e chi ce 'l rende, o chi ce 'l serba; ponmi in humil fortuna, od in superba, al dolce aere sereno, al fosco et greve; ponmi a la notte, al di lungo ed al breve, a la matura etate od a l'acerba; ponmi in cielo, od in terra, od in abisso, in alto poggio, in valle ima et palustre, libero spirto, od a' suoi membri affisso; ponmi con fama oscura, o con illustre: saro qual fui, vivro com'io son visso, continuando il mio sospir trilustre. 146 O d'ardente vertute ornata et calda alma gentil chui tante carte vergo; o sol gia d'onestate intero albergo, torre in alto valor fondata et salda; o fiamma, o rose sparse in dolce falda di viva neve, in ch'io mi specchio e tergo; o piacer onde l'ali al bel viso ergo, che luce sovra quanti il sol ne scalda: del vostro nome, se mie rime intese fossin si lunge, avrei pien Tyle et Battro, la Tana e 'l Nilo, Athlante, Olimpo et Calpe. Poi che portar nol posso in tutte et quattro parti del mondo, udrallo il bel paese ch'Appennin parte, e 'l mar circonda et l'Alpe. 147 Quando 'l voler che con duo sproni ardenti, et con un duro fren, mi mena et regge trapassa ad or ad or l'usata legge per far in parte i miei spirti contenti, trova chi le paure et gli ardimenti del cor profondo ne la fronte legge, et vede Amor che sue imprese corregge folgorar ne' turbati occhi pungenti. Onde, come collui che 'l colpo teme di Giove irato, si ritragge indietro: che di gran temenza gran desire affrena. Ma freddo foco et paventosa speme de l'alma che traluce come un vetro talor sua dolce vista rasserena. 148 Non Tesin, Po, Varo, Adige et Tebro, Eufrate, Tigre, Nilo, Hermo, Indo et Gange, Tana, Histro, Alpheo, Garona, e 'l mar che frange, Rodano, Hibero, Ren, Sena, Albia, Era, Hebro; non edra, abete, pin, faggio, o genebro, poria 'l foco allentar che 'l cor tristo ange, quant'un bel rio ch'ad ognor meco piange, co l'arboscel che 'n rime orno et celebro. Questo un soccorso trovo tra gli assalti d'Amore, ove conven ch'armato viva la vita che trapassa a si gran salti. Cosi cresca il bel lauro in fresca riva, et chi 'l pianto pensier' leggiadri et alti ne la dolce ombra al suon de l'acque scriva. 149 Di tempo in tempo mi si fa men dura l'angelica figura e 'l dolce riso, et l'aria del bel viso e degli occhi leggiadri meno oscura. Che fanno meco omai questi sospiri che nascean di dolore et mostravan di fore la mia angosciosa et desperata vita? S'aven che 'l volto in quella parte giri per acquetare il core, parmi vedere Amore mantener mia ragion, et darmi aita: ne pero trovo anchor guerra finita, ne tranquillo ogni stato del cor mio, che piu m'arde 'l desio, quanto piu la speranza m'assicura. 150 " Che fai alma? che pensi? avrem mai pace? avrem mai tregua? od avrem guerra eterna? " " Che fia di noi, non so; ma, in quel ch'io scerna, a' suoi begli occhi il mal nostro non piace. " " Che pro, se con quelli occhi ella ne face di state un ghiaccio, un foco quando inverna? " " Ella non, ma colui che gli governa. " " Questo ch'e a noi, s'ella s'el vede, et tace? " " Talor tace la lingua, e 'l cor si lagna ad alta voce, e 'n vista asciutta et lieta, piange dove mirando altri non 'l vede. " " Per tutto cio la mente non s'acqueta, rompendo il duol che 'n lei s'accoglie et stagna, ch'a gran speranza huom misero non crede. 151 Non d'atra et tempestosa onda marina fuggio in porto gia mai stanco nocchiero, com'io dal fosco et torbido pensero fuggo ove 'l gran desio mi sprona e 'nchina. Ne mortal vista mai luce divina vinse, come la mia quel raggio altero del bel dolce soave bianco et nero, in che i suoi strali Amor dora et affina. Cieco non gia, ma pharetrato il veggo; nudo, se non quanto vergogna il vela; garzon con ali: non pinto, ma vivo. Indi mi mostra quel ch'a molti cela, ch'a parte a parte entro a' begli occhi leggo quant'io parlo d'Amore, et quant'io scrivo. 152 Questa humil fera, un cor di tigre o d'orsa, che 'n vista humana e 'n forma d'angel vene, in riso e 'n pianto, fra paura et spene mi rota si ch'ogni mio stato inforsa. Se 'n breve non m'accoglie o non mi smorsa, ma pur come suol far tra due mi tene, per quel ch'io sento al cor gir fra le vene dolce veneno, Amor, mia vita e corsa. Non po piu la vertu fragile et stanca tante varietati omai soffrire, che 'n un punto arde, agghiaccia, arrossa e 'nbianca. Fuggendo spera i suoi dolor' finire, come colei che d'ora in hora manca: che ben po nulla chi non po morire. 153 Ite, caldi sospiri, al freddo core, rompete il ghiaccio che Pieta contende, et se prego mortale al ciel s'intende, morte o merce sia fine al mio dolore. Ite, dolci penser', parlando fore di quello ove 'l bel guardo non s'estende: se pur sua asprezza o mia stella n'offende, sarem fuor di speranza et fuor d'errore. Dir se po ben per voi, non forse a pieno, che 'l nostro stato e inquieto et fosco, si come 'l suo pacifico et sereno. Gite securi omai, ch'Amor ven vosco; et ria fortuna po ben venir meno, s'ai segni del mio sol l'aere conosco. 154 Le stelle, il cielo et gli elementi a prova tutte lor arti et ogni extrema cura poser nel vivo lume, in cui Natura si specchia, e 'l Sol ch'altrove par non trova. L'opra e si altera, si leggiadra et nova che mortal guardo in lei non s'assecura: tanta negli occhi bei for di misura par ch'Amore et dolcezza et gratia piova. L'aere percosso da' lor dolci rai s'infiamma d'onestate, et tal diventa, che 'l dir nostro e 'l penser vince d'assai. Basso desir non e ch'ivi si senta, ma d'onor, di vertute: or quando mai fu per somma belta vil voglia spenta? 155 Non fur ma' Giove et Cesare si mossi, a folminar collui, questo a ferire, che Pieta non avesse spente l'ire, e lor de l'usate arme ambeduo scossi. Piangea madonna, e 'l mio signor ch'i' fossi volse a vederla, et i suoi lamenti a udire, per colmarmi di doglia et di desire, et ricercarmi le medolle et gli ossi. Quel dolce pianto mi depinse Amore, anzi scolpio, et que' detti soavi mi scrisse entro un diamante in mezzo 'l core; ove con salde ed ingegnose chiavi ancor torna sovente a trarne fore lagrime rare et sospir' lunghi et gravi. 156 I' vidi in terra angelici costumi et celesti bellezze al mondo sole, tal che di rimembrar mi giova et dole, che quant'io miro par sogni, ombre et fumi; et vidi lagrimar que' duo bei lumi, ch'an fatto mille volte invidia al sole; et udi' sospirando dir parole che farian gire i monti et stare i fiumi. Amor, Senno, Valor, Pietate, et Doglia facean piangendo un piu dolce concento d'ogni altro che nel mondo udir si soglia; ed era il cielo a l'armonia si intento che non se vedea in ramo mover foglia, tanta dolcezza avea pien l'aere e 'l vento. 157 Quel sempre acerbo et honorato giorno mando si al cor l'imagine sua viva che 'ngegno o stil non fia mai che 'l descriva, ma spesso a lui co la memoria torno. L'atto d'ogni gentil pietate adorno, e 'l dolce amaro lamentar ch'i' udiva, facean dubbiar, se mortal donna o diva fosse che 'l ciel rasserenava intorno. La testa or fino, et calda neve il volto, hebeno i cigli, et gli occhi eran due stelle, onde Amor l'arco non tendeva in fallo; perle et rose vermiglie, ove l'accolto dolor formava ardenti voci et belle; fiamma i sospir', le lagrime cristallo. 158 Ove ch'i' posi gli occhi lassi o giri per quetar la vaghezza che gli spinge, trovo chi bella donna ivi depinge per far sempre mai verdi i miei desiri. Con leggiadro dolor par ch'ella spiri alta pieta che gentil core stringe: oltra la vista, agli orecchi orna e 'nfinge sue voci vive et suoi sancti sospiri. Amor e 'l ver fur meco a dir che quelle ch'i' vidi, eran bellezze al mondo sole, mai non vedute piu sotto le stelle. Ne si pietose et si dolci parole s'udiron mai, ne lagrime si belle di si belli occhi uscir vide mai 'l sole. 159 In qual parte del ciel, in quale idea era l'exempio, onde Natura tolse quel bel viso leggiadro, in ch'ella volse mostrar qua giu quanto lassu potea? Qual nimpha in fonti, in selve mai qual dea, chiome d'oro si fino a l'aura sciolse? quando un cor tante in se vertuti accolse? benche la somma e di mia morte rea. Per divina bellezza indarno mira chi gli occhi de costei gia mai non vide come soavemente ella gli gira; non sa come Amor sana, et come ancide, chi non sa come dolce ella sospira, et come dolce parla, et dolce ride. 160 Amor et io si pien' di meraviglia come chi mai cosa incredibil vide, miriam costei quand'ella parla o ride che sol se stessa, et nulla altra, simiglia. Dal bel seren de le tranquille ciglia sfavillan si le mie due stelle fide, ch'altro lume non e ch'infiammi et guide chi d'amar altamente si consiglia. Qual miracolo e quel, quando tra l'erba quasi un fior siede, over quand'ella preme col suo candido seno un verde cespo! Qual dolcezza e ne la stagione acerba vederla ir sola co i pensier' suoi inseme, tessendo un cerchio a l'oro terso et crespo! 161 O passi sparsi, o pensier' vaghi et pronti, o tenace memoria, o fero ardore, o possente desire, o debil core, oi occhi miei, occhi non gia, ma fonti! O fronde, honor de le famose fronti, o sola insegna al gemino valore! O faticosa vita, o dolce errore, che mi fate ir cercando piagge et monti! O bel viso ove Amor inseme pose gli sproni e 'l fren ond'el mi punge et volve, come a lui piace, et calcitrar non vale! O anime gentili et amorose, s'alcuna a 'l mondo, et voi nude ombre et polve, deh ristate a veder quale e 'l mio male. 162 Lieti fiori et felici, et ben nate herbe che madonna pensando premer sole; piaggia ch'ascolti sue dolci parole, et del bel piede alcun vestigio serbe; schietti arboscelli et verdi frondi acerbe, amorosette et pallide viole; ombrose selve, ove percote il sole che vi fa co' suoi raggi alte et superbe; o soave contrada, o puro fiume, che bagni il suo bel viso et gli occhi chiari et prendi qualita dal vivo lume; quanto v'invidio gli atti honesti et cari! Non fia in voi scoglio omai che per costume d'arder co la mia fiamma non impari. 163 Amor, che vedi ogni pensero aperto e i duri passi onde tu sol mi scorgi, nel fondo del mio cor gli occhi tuoi porgi, a te palese, a tutt'altri coverto. Sai quel che per seguirte o gia sofferto: et tu pur via di poggio in poggio sorgi, di giorno in giorno, et di me non t'accorgi che son si stanco, e 'l sentier m'e troppo erto. Ben veggio io di lontano il dolce lume ove aspre vie mi sproni et giri, ma non o come tu da volar piume. Assai contenti lasci i miei desiri,